Una settimana, tre partite, un punto. Nella vita si vince e si perde, ma il Chieti ultimamente ha preferito fare l’ultima di queste due cose e oggi ha la possibilità di rialzarsi con l’Arzanese. Difesa permettendo. Perché ormai è chiaro che i neroverdi hanno un bel centrocampo, guidato da quel direttore d’orchestra che è Stefano Amadio, un attacco che con Anastasi e Lacarra ha guadagnato finalmente peso e capacità realizzativa, ma dietro soffre, in attesa di un Migliorini che migliori le cose e in misura maggiore di quella che l’assonanza sembra suggerire. Transfer permettendo. Il Muro è crollato e non dovrebbero sussistere impedimenti tra quelle che una volta erano le due metà del mondo, invece questo fantomatico documento sta viaggiando dalla Repubblica Ceca al passo di una formica, tanto da fare sembrare il rilascio di un passaporto ai tempi del KGB un esempio di efficienza burocratica. A volte il futuro non ci consegna un presente migliore. Migliorini ne sa qualcosa. A volte anche un cognome che viene dal passato non è una garanzia. Il Feola che arava la fascia sinistra non è quello che oggi protegge la nostra porta. L’insicurezza della difesa rende l’estremo difensore insicuro e è vero il contrario? Peccati di gioventù che passeranno presto o che continueranno invece a costare caro più degli incentivi federali per fuoriquota? Sta a chi va in campo annullare le nostre critiche e noi infatti desideriamo come non mai di essere smentiti.
Si perde e si vince anche con altro che non sia il calcio. Scorrendo i titoli che nella settimana hanno riguardato la nostra Città, noto con piacere l’abbandono quasi totale del tema dell’area metropolitana e di tutti i suoi cavalli di troia come l’unione dei servizi, le grandi città e quant’altro che ha come unico scopo il saccheggio di Chieti, delle sue carni e della sua anima. Resta chiaro che ci sono piromani addestrati, pronti ad appiccare incendi quando la temperatura sale e le persone quasi non possono stupirsi se per colpa di certe fiamme vengono distrutti boschi secolari. Quelli che ci vorrebbero trasformare in legna non mancano mai. Resta il fatto che la Città fatica a ritrovare energia, a ritrovarla dentro sé stessa, dentro la sua stessa essenza che pure ne è densa. Eppure gli stimoli non mancano. L’ultimo è la lettera che Ines Bellia ha inviato a tutti i professionisti di Chieti invitandoli a essere parte di un progetto che li coinvolga senza impegnarli. Il messaggio è chiaro: abbiamo fatto molto, vogliamo fare di più, con il vostro aiuto.
La cosa mi piace, mi piace molto. Per molti motivi. Il primo è il gesto stesso. Chi prende più carta e penna per dirti qualcosa? Forse non esistono neppure più neppure le lettere d’amore e invece una lettera del genere parla implicitamente di amore, amore per la propria Città, per quello che si fa e si vuole fare. C’è poi una carica di ambizione forte: la “vera gloria” a caratteri maiuscoli è ben diversa da “salvezza”, “toglierci qualche soddisfazione” e tutto quel profilo basso che, se da un lato denota un apprezzabile senso della realtà, tradisce anche impotenza o – peggio ancora – rassegnazione per una dimensione che deve essere necessariamente piccola e inferiore non di un solo gradino a tutto quello che dobbiamo desiderare, ma non deve avere né il nostro nome né i nostri colori. Lo spossessamento della nostra identità passa anche da queste cose, per questo anche il rilancio del calcio e della nostra Città passa da gesti come questo. Non fanno vincere oggi, ma domani sì. Mi piace anche che a scrivere questa lettera sia stata Ines Bellia, una persona che ci sta mettendo la faccia con grande serietà.
All’inizio mi sembrava la sentinella messa dal presidente a sorvegliare il lavoro di Biagio D’Aniello nell’Area Marketing, ma ho dovuto presto modificare le mie convinzioni. La prima volta in occasione di Chieti-Ternana di Coppa Italia. Caldo torrido, solita fila al botteghino, soliti malfunzionamenti del sistema di biglietteria e solite incazzature di coloro che giurano che mai e poi mai torneranno a vedere una partita. Dall’altra finestrella lei si affaccia e chiama le persone a fare la fila dall’altra parte. C’è lei a scrivere a mano su ogni tagliando a penna tutte le indicazioni del caso annotando poi i dati del disgraziato di turno su un registro. Ci mette la faccia, le mani e anche il sudore visto che un container sotto il sole cocente di agosto non è esattamente un luogo fresco. Poi la prima apparizione in tv su Chieti Channel. La ragazza – anzi la signora – sta lì seria, non fa un gesto fuori posto e a domanda risponde, eccome se risponde! Massimo Lupacchini, che non è certo uno incline alle facili battute, gli domanda quale sia il calciatore che preferisce. Lei risponde che “per motivi di opportunità preferirei tenermelo per me” e con la fa con una velocità e una fermezza nei toni che tolgono il fiato allo stesso Lupacchini. Poi la lettera di qualche giorno fa. Io voglio Ines Bellia presidente! Non me ne voglia il padre, ma a me sua figlia piace moltissimo. Anche come donna. Questo non vuol dire che la sposerei, ma semplicemente che quello che ha fatto non ha solo il tono del manager, né tantomeno quello della figlia del capo, ma ha anche un connotato umano ben preciso che non prescinde dal sesso. C’è chi la donna la vuole con la gonna, c’è chi per disegnarne l’attitudine al comando la bolla con la solita formula “ha le palle”. Nessuno però pensa che una donna possa comandare come una donna, senza imitare gli uomini e soprattutto senza sottrarsi ai suoi doveri di donna, e non solo quelli.
Vivendo in campagna l’infanzia e la giovinezza ho imparato molte cose. Una di queste è che, quando in un pollaio non c’è un gallo, ad un certo punto spunta una gallina che canta, con la cresta più lunga. Ho visto qualcosa di simile anche in alcune famiglie dove, in assenza di una persona forte o per fronteggiare l’improvvisa mancanza di chi in precedenza aveva il “manico” della situazione, ci sono state donne che hanno preso le redini diventando di fatto “l’uomo” di famiglia. Il presidente ha solo due figlie, aziende da portare avanti e il senso del dovere si sente come quello dei medicinali in ospedale: se lo respiri per un po’ non ci fai più caso, ma lo respiri e quindi ce l’hai già nei polmoni, viaggia nelle tue vene. Ho la sensazione che Ines Bellia sia questo tipo di donna e viva questo dovere con serietà ed entusiasmo. Troppo facile dire che “Lei è come il padre”. Al di là di quello che il sangue trasmette, tra genitori e figli ci sono anche somiglianze più apparenti che reali, dettate dalle suggestioni più che da riscontri oggettivi. A me piace pensare che Iris Bellia sia una bella immagine di Chieti, un modello femminile che non ricordo di aver visto né sul Colle né ai suoi piedi, capace di stare dietro una scrivania così come dietro ai fornelli. A una donna infatti viene chiesto di fare sempre di più, mai le viene permesso di fare di meno, almeno non senza pagare un dazio.
Il presidente nei suoi discorsi ha spesso citato la sua famiglia, ha spesso parlato usando la prima persona plurale. Pensavo fosse una stratagemma retorico per dire, in modo obliquo, “tengo famiglia e quindi non posso fare il passo più lungo della gamba”. Anche qui devo ammettere che mi sono sbagliato. In occasione della conferenza stampa di presentazione della campagna abbonamenti il presidente ha detto una frase che mi è rimasta ben impressa: «Tutti sapete da dove vengo e da dove viene la mia famiglia. Mio padre stava a Porta Pescara (perdonate la parolaccia, ma si chiama proprio così!, ndr) e faceva il robivecchi. Non ci tengo ad essere chiamato presidente, ma io e la famiglia ci siamo e continueremo ad esserci». Devo ammettere che la famiglia Bellia c’è, non solo nel pubblico che ogni volta lo ascolta, né quando fa presenza allo stadio. La famiglia c’è perché agisce già attivamente dentro il Chieti e porta questo messaggio dentro la società civile, quella che in Città manca o è troppo abituata a rimanere sotto il pelo dell’acqua.
Questa Città perde i pezzi, ma non succede solo quello. Ci sono infatti altre cose che mi hanno colpito in questa settimana. Apro i giornali e trovo la pubblicità della Rodrigo, telefono 0871 etc. Poi sento del nuovo piano industriale della Sixty che prevede il taglio di più di metà degli addetti, di trasferimento o esternalizzazione di alcune attività. Vedo per l’ennesima volta il nostro arcivescovo Bruno Forte riuscire a dire cose autorevoli sull’attualità, che volano talmente alte da non sfiorare neppure la nostra Città. Contemporaneamente, devo andare su un giornale in lingua italiana di Toronto per sapere che Loris Capovilla, già arcivescovo di Chieti nel lontano 1967 e segretario di papa Giovanni XXIII, ha compiuto 96 anni. A monsignor Capovilla l’augurio di passare i 100 con l’energia che chi l’ha conosciuto conosce, a monsignor Forte quello di dire qualcosa che ci tocchi più da vicino.
Altri due parallelismi mi hanno colpito. Il primo riguardano le voci di una possibile cancellazione del calendario di prosa al Teatro Marrucino mentre il Piccolo Teatro dello Scalo ha presentato il proprio cartellone al Sindaco. E mentre di coro, teatro dialettale e orchestra si sa poco o nulla, sepolti nelle pastoie che riguardano le manovre politiche dietro alla conduzione della istituzione teatrale cittadina, tra le nubi appare un raggio di luce. Su un quotidiano che si autodefinisce regionale il senatore Fabrizio Di Stefano annuncia la partnership con l’Orchestra sinfonica abruzzese: «Siamo riusciti, con il sostegno della Fondazione Carichieti, a portare al Marrucino la più grande orchestra d’Abruzzo, unica riconosciuta dal ministero, che collaborerà con noi assiduamente». Da l’Aquila fanno sapere che con il cavolo che si trasferiscono a Chieti, ma che la collaborazione con il Marrucino è prestigiosa. In Abruzzo le cose accadono in un modo strano e i politici trattano le istituzioni cittadine – economiche o culturali che siano – come pedine, senza chiedersi da dove vengano e che fine potrebbero fare se sradicate dal loro contesto.
E a proposito di cultura, c’è un’altra bella notizia passata – chissà perché – in sordina: l’apertura di una nuova libreria a Chieti la Segnalibro23, in via Caio Asinio Pollione. Non accadeva forse dall’apertura della Sellerio all’inizio degli anni ’90 nei locali di un altro negozio storico teatino, quello delle sorelle Di Nardo. La signora Elvira Sellerio diede però immediatamente il contrordine per l’unica libreria della casa editrice siciliana presente sul continente. La colpa non fu certo della perfida ittica che reclamava per sé questo privilegio, ma del mutato clima politico in Città. Oggi la cultura e la politica sono mondi molto più distanti, forse troppo, ma torna nel centro storico un’iniziativa imprenditoriale e culturale, un fenomeno che merita attenzione. Dite che la cultura, la letteratura e il tifo sono cose ancora più distanti? Chi frequenta la Curva sa bene che tra gli storici assidui della Volpi c’è anche Danilo Scastiglia, detto anche “lu caiman’”, autore già di due libri di racconti con i quali ha partecipato ad alcuni concorsi letterari, vincendoli anche. E vi assicuriamo che, pur essendo un ultras dichiarato, ha ritirato i suoi premi senza che i celerini lo sorvegliassero a vista in attesa di riportarlo dietro le sbarre. Chieti è anche questo e la trovate sui libri di Danilo. Provate anche voi a scriverne uno, provate almeno un capitolo, provate a essere parte di una storia che si può fare anche solo scrivendo una lettera. Potremmo scoprire che non sono solo parole.