Buongiorno professore, non riesco neppure oggi a darle del tu, anche oggi, quando già su di lei si è abbattuta quella cosa che ci rende tutti uguali separandoci dal mondo e da tutto ciò che contiene, compresi gli amici – mi permetta se mi considero tale – come me. Penso che lei mi risponderebbe “Siamo teatini, quindi siamo fratelli”, mescolando quel suo spirito matematico al grande amore che ha per la sua terra di origine che proprio con lo spirito non ha mai lasciato.
Il secondo nome Giustino è un marchio di fabbrica, il cognome poi dice tutto e anche per me – come per molti nostri fratelli – è famigliare. A leggere il suo sito, il cognome “Cerritelli” sembra che non sia solo un semplice emblema, ma uno dei principali motivi della sua esistenza, come se lei fosse alla disperata ricerca di tracce di se stesso in ogni angolo del mondo. Poi c’è quella sua voce, nel quale si mescolano una nota bassa e decisa accanto a una metallica e vivace, come quella di un motore sportivo, pronto a scattare in modo intemperante e divertente. Lei di scatti se ne intende: il suo carattere a volte ci ha creato qualche piccola noia – immagino però che molti di più deve averne creati a lei nella sua vita… – ma ci ha regalato una montagna di versi veloci e di circostanza che sono parte stessa di TifoChieti.com e della sua anima. Ne ha scritti centinaia, tutti salaci, ficcanti, intriganti sin dal titolo. Quei versi esprimono bene il suo carattere: lei ne ha per tutto e per tutti, e non rinuncia mai a farlo. Mi ricordo quando diede a Giulio del “capopolo”, a Safon del “Safoncello” a come apostrofava ogni avversario e soprattutto ogni ex come Vivarini o Cifaldi. Mi ricordo anche la sua definizione di “bagnasciuga” e l’invenzione di un mitico animale che si aggirerebbe tra le strade di Chieti. Posso immaginare solo minimamente le sue lezioni, ma immagino che i suoi allievi le attendessero come uno spettacolo irrinunciabile.
Lei è quello che a Chieti si definisce “un artista”, in un’accezione che è davvero tutta nostra: una persona che sa il fatto suo, capace di mettere in quello che fa una nota particolare, chiaramente distinguibile. Non credo sia un caso che la descrizione che di lei mette nel suo profilo di utente reciti testualmente: “E voije cantà... perchè è l'arta me!”. Parola di matematico. Lei sa bene anche quanta ironia ci possa essere nell’essere definiti a Chieti “un artista”, ma nel suo caso questa definizione supera ampiamente quella teatina. Il suo modo di essere artista è infatti quella tipica dello scienziato quale era e che ricorda ancora una volta come gli uomini di scienza possano essere gli artisti migliori. Lei è sicuramente quel tipo di uomo. Lei professore è sicuramente un teatino, di quel tipo – purtroppo molto diffuso – che trova se stesso lontano dalla patria ed è condannato a immaginare e ricordare piuttosto che a vivere restando dove è nato. Lei lo fa con l’animo del bambino, di chi ha osservato voltandosi quelle mura e si è portato dentro un ricordo di immensità, forza e grandezza trasformandolo poi nella vita in dignità e orgoglio per le proprie origini, nella voglia di arrivare dove è arrivato. Lei è l’emblema di quella strana cosa che è la teatinità, tanto più forte, netta e vera quando è espressa con accenti lontani e diversi. I mirmidoni migliori – ahimé – sono quelli in esilio.
Lei al telefono mi parla a lungo di persone, cognomi e fatti di Chieti come se fosse ieri, come se la circondassero costantemente. Ricordo quando ci sentimmo durante la trasferta a Noceto. Lei si era portato alcuni suoi amici e posso solo immaginare come li avesse preparati a questo evento: il contatto con la tifoseria teatina e i colori neroverdi, il massimo che si possa desiderare. Il sottofondo erano i cori della Curva Volpi, ma la sua voce li squarciava dal basso lasciandoli scivolare all’udito come il grano da un sacco tagliato. “Vinciamo!” fu la sua prima parola senza neppure rispondere “pronto!”. Poi le chiesi quali giocatori l’avevano impressionata e su tutti disse di Fiore “è un giocatore di pallone”, recitato come un verso di Leopardi. La sua eccitazione era palpabile, ma ancora più forte era il suo orgoglio di fronte ai suoi amici. “Questi disgraziati non si sono fermati un attimo, sono eccezionali. Che cazzo di popolo che siamo!” disse. Ma temendo di essere troppo di parte mi passò uno dei suoi amici il quale confermò “Siete tifosi eccezionali, non ho mai visto niente del genere: non hanno mai smesso di cantare ed incitare la squadra. Fantastici!” Immagino la sua faccia, il suo ego, la sua soddisfazione. Ci sarà stato scritto “Che vi avevo detto?!?!” a caratteri cubitali e ad illuminazione intermittente.
Ad oggi ho il solo rammarico di non averla mai conosciuta né di averle mai stretto la mano. Posso però assicurarle che io e tanti altri l’abbracciamo e abbracciamo i suoi famigliari e i suoi amici ai quali ha cantato incessantemente la sua teatinità fino a frantumarne la pazienza edificando però nella loro mente un’immagine gigantesca di Chieti, della sua storia e di tutti i suoi simboli, tra i quali svetta la nostra squadra di calcio. Di questo la ringrazio dal profondo del cuore. Prima o poi ci incontreremo, insieme canteremo “Forza Chieti!” e fermandoci dirà “Avete visto!? Che cazzo di popolo che siamo!”. E non oso immaginare come avrà già frantumato le ali a quei poveri angeli che ora la stanno accogliendo, ignari di quello che li aspetta da qui all’eternità. Sono sicuro che per allora imprecheranno dicendo "Ma cussù a ecch', chi ce l'ha mannàt'?". Arrivederci professore, a lei la terra le fa un baffo, come a tutti i figli di Achille.